Storia-.

Storia

ATTO COSTITUTIVO DELL'ASSOCIAZIONE
"AMICI SAGRA DELLA CRESPELLA"

In data 15 febbraio 2012 presso la sede sociale della costituenda Associazione, sita presso la Parrocchia di S. Maria Assunta in Via S. Francesca, 78 in Veroli (FR), si sono riuniti quali soci fondatori i sigg.:
Baldassarra Riccardo, nato a Veroli (FR) il 10.10.1957;
Baldassarra Vincenzo, nato a Veroli (FR) il 13.3.1944;
Fiorini Giuseppe, nato a Veroli (FR) il 9.11.1953;
Fiorini Raniero, nato a Veroli (FR) il 4.1.1950;
Mancini don Giacinto, nato a Bisceglie (BA) il 16.10.1965;
Quattrociocchi Milena, nata a Frosinone il 7.7.1963;
Quattrociocchi Stefano, nato a Veroli (FR) il 30.7.1971;
Vacca Alfonso, nato a Veroli (FR) il 18.9.1947;
per coctituire l'associazione "AMICI SAGRA DELLA CRESPELLA".

I presenti chiamano a presiedere la riunione il Sig. Quattrociocchi Stefano, il quale accetta l'incarico. Viene nominato quale Segretario verbalizzante il Sig. Baldassarra Riccardo.

Il Presidente dell'assemblea mediante la lettura dello statuto (che si riporta in calce al presente atto) illustra dettagliatamente i motivi  e gli scopi che hanno spinto i presenti a farsi promotori dell'iniziativa volta a costituire l'Associazione. Dopo ampia e proficua discussione viene posto in votazione e approvato all'unanimità.

Nel contempo, l'Assemblea, nomina il Sig. Quattrociocchi Stefano Presidente "protempore" dell'Associazione fino alla convocazione della prima Assemblea elettiva.
Null'altro essendovi da deliberare, l'Assemblea viene sciolta alle ore 22 del 15 febbraio 2012.

IL PRESIDENTE                                                                                             IL SEGRETARIO


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Il territorio

 

1.                Descrizione geografica e storica

Santa Francesca, nel territorio di Veroli, è una frazione popolosa che  si estende ai piedi del monte Pedicino, della catena dei monti Ernici, che prendono il nome dagli antichi abitanti del territorio ciociaro.1

     Questa catena di monti forma uno spartiacque che una volta inviava grosse masse di acqua nel bacino del  fiume Sacco, con due dei maggiori affluenti:  il Cosa e l’Amaseno.

     Tra le vette del monte Passeggio e quella di Pizzo d’Eta, nasce l’Amaseno, grosso torrente, che una volta scendeva verso Veroli  bagnava per un lungo tratto le sue terre, rasentava la celebre abbazia di Casamari e andava a ricongiungersi con il fiume Liri.

     «Più di qualche scrittore locale, a torto, ha visto nel fiumicello Amaseno che scorre presso Casamari, il fiume omonimo che scorre tra le vallate dei monti Volsci, ricco di poesia e di ricordi, tanto famoso nelle leggende italiche». 2 

     Il clima della zona è temperato, ma sia la mitezza e la piovosità invernale, sia la siccità estiva subiscono variazioni ed oscillazioni, dovute alla natura del territorio stesso. Nella parte superiore del territorio, che sfocia con Prato di Campoli, si incontrano  ‹‹boschi tipicamente montani composti di castagni e carpini neri che si incrociano con faggete. Sono anche frequenti insolite associazioni forestali con faggio, agrifoglio e tasso. Al di sopra di tale zona si estendono vaste faggete, con boschi che presentano anche alberi molto grandi e d’alto fusto. Poi c’è la zona caratterizzata da una macchia alquanto variegata interrotta spesso da larghi spazi aperti: qui domina il carpino nero in forma di cespuglio, misto a roverella, acero minore, frassino ed altre essenze.

     Un’altra fascia è quella della macchia mediterranea distribuita nella parte che guarda Sora dove domina il leccio. I territori non ricoperti da boschi attualmente sono costituiti da pascoli, più o meno cespugliati, con rigogliosi boschetti di ginepro ed erborati (noci) e sono al servizio dell’allevamento brado di bovini e cavalli.                                               

     La pastorizia ha una tradizione secolare; esisteva quella stanziale e quella transumante verso la campagna romana. Da segnalare tra i fiori la presenza di alcune rare specie di orchidee. Per quanto concerne la fauna, dobbiamo registrare la presenza di volpi, coturnici, astori, picchio dalmatino, nonché martore e gatti selvatici.

     Circa il valore archeologico, dobbiamo annotare diversi ritrovamenti di antichissimi manufatti pastorali detti “caselle”». 3

     Le caselle sono costruzioni in pietra locale e precisamente con blocchi di calcare, più o meno sbozzati o squadrati, alcune sono riutilizzazioni di costruzioni romane o medioevali. Le dimensioni variano, sono costituite da un solo ambiente (c.d. capanne unicellulari) rettangolari o circolari, il pavimento è di terra battuta, la porta può essere con architrave monolitico, arco ad ogiva, cuspidato ecc.

Queste singolari costruzioni, a forma di scafo rovesciato, sono testimoniate nella località “i Cocchi”. 4

 

Lungo l’arteria che collega Veroli con Sora, sono riaffiorate dal passato monete antiche, trabeazioni di piccoli templi, tubature di piombo, un sarcofago anepigrafe, il cippo di una colonna che ha ancora visibile da un lato la figura di un’aquila ad ali aperte. 5

     Di testimonianza di costruzione antica ne abbiamo una importante  nella valle dell’Abbruciata, nel luogo detto “Pozzo Favito” sulla frontiera pontificia tra le due colonne di confine n. 179 e n. 180  a poca distanza dalla strada di Veroli e Sora. 6

     Per giungervi occorre fare tre ore di cammino partendo da Fontana Fratta, località i Cocchi, fino ad arrivare ai piedi di Monte Pedicino. E’ una radura depressa circondata da rave ed alberi, su un lato vi è Pozzo Favito riempito di acqua piovana.

     La località si adattava a sistemarvi un santuario, probabilmente di “auguri”, mèta di pellegrinaggi, o dedicato a dei indigeti, personaggi locali divinizzati a cui si rivolgeva speciale venerazione, ma potevano essere anche divinità boschive o pluviali; vi erano state costruite diverse cappelle (edicole), la statua di Giove dominava la navata ed era esposta sul basamento (basis), c’era un colonnato (porticus) che circondava il tempio.

 C’è una scritta a piccoli caratteri sulla fronte di una rupe, espressamente tagliata a picco e chiamata la “sedia pontificia” dall’incavo rettangolare tagliato parimenti la rupe. 7
     «Degna di considerazione ancora è la notizia del ritrovamento di un sarcofago, ora conservato nel giardino antistante al Monumento dei Caduti di Veroli durante la seconda guerra mondiale» 8, fu rinvenuto nei pressi della Fontana Grande o “Fontana Ranna” sita sulla strada dell’Incoronata.

     «Il prof. Arduino Scaccia Scarafoni, chiamato al momento del ritrovamento, notò che il sarcofago in calcare conglomerato e con doppio spiovente, mostrava una frattura di antica data in senso trasversale. Fatto sollevare il coperchio, il professore vide parte di uno scheletro ben conservato. Soltanto i piedi alla luce si disfecero» 9.

     «Procedendo verso Fontana Fratta, il professore notò anche fra le pietre spezzate ed usate per la massicciata della strada, alcuni grossi blocchi calcarei tolti da un macerone, una pietra sulla quale era stato scalpellato un triglifo, e un rocchio di colonna su cui era incisa un’aquila romana ad ali spiegate» 10.

 

La persistenza di antiche tecniche  permette di farci una idea di una società pastorale-arcaica, con tendenze fortemente conservatrici nel tessuto sociale e nelle usanze.



«Le origini degli Hernici e dei componenti di questo popolo sono avvolte ancora nelle tenebre. Secondo le testimonianze di Servio, scoliaste di Virgilio, gli Hernici sarebbero di stirpe Marsica e avrebbero tratto il nome dalla natura rocciosa dei monti in cui vivevano. Giulio Igino, che viveva ai tempi di Augusto e Macrosio, sostiene che questo popolo appartenesse alla stirpe pelasgica e si chiamassero così dal loro duce Hernicus. Secondo molti studiosi, l’origine sarebbe da cercarsi nella parola “herna” la quale nella lingua marsa o sabina, significava rupe. La lieve differenza che esiste fra quanto dice Servio ed Emilio Aspro, non impedisce di affermare che gli Hernici appartenessero alla grande famiglia delle popolazioni osco-sabelliche».   V. Quattrociocchi, Gli Ernici e il loro territorio, Veroli 1928, pag. 19-22.       

 2 Ibidem, pag. 10.

 3  A. Farinelli – A. T. D’Arpino, Testimoni di Pietra, Storia del confine tra Regno delle due Sicilie e Stato Pontificio, Luca dei Marsi 2000, pag. 36-37.

 4  M. Rizzello, Costruzioni Agro-Pastorali della Media Valle del Liri. Supplemento a Lazio Agricolo, Tecnostampa-Frosinone, dicembre 1987, pag. 5,8,10,12.

 5  E. M. Beranger- P. Fortini, Relazione di Arduino Scaccia Scarafoni a Giuseppe Lugli sulle antichità di Veroli (1962). In nozze Alonzi-Nicoletti, Roma 1999, pag. 12-13.  

 6  «Dalla strada Sora-Santa Francesca di Veroli, si devia per località I Cocchi, che ci si lascia alle spalle, per poi salire al poligono militare. Si attraversa una strada sterrata, fino a raggiungere la località Fontana Fusa. Ai piedi della montagna, c’è una fonte a quota 818 m. Si prende il sentiero (Camminitalia del Cai) fino a raggiungere una radura lunga e stretta, dove nei pressi di un pozzo c’è il n. 179 ritto. In fondo alla radura, dove riprende il bosco, c’è il n. 180. Nel territorio di Veroli ci sono 11 cippi di confine con il Regno delle Due Sicilie, solitamente in pietra calcarea o travertino, l’altezza e il diametro variano a seconda dei posti, c’è da rilevare che mentre lo stemma borbonico è pressappoco sempre uguale, le chiavi decussate di San Pietro invece sono alcune volte più stilizzate, altre più naturalistiche. Per ricavare una colonnetta finita, lo scalpellino impiegava mediamente dai due ai tre giorni». A. Farinelli-Argentini T. D’Arpino, op. cit., pag. 33-59-61-94.  

 7  L’iscrizione è corrosa, si legge:

                               C. CALVISIO

                                                      COS

                                L. PASSIENO

                                M. MENIUS M. F. RUFUS   I Ac VI

                                I VIBIDIUS.  L. F. SAC. II

                                IOVI AERIS ET DIS INDIGETIBUS

                                CUM AEDICUL(a) ET BASE

                                 et aeDI ET PORTICUS D S

                                                                                Vc 750

                                                                                 aCr 3

    « Caio Calvisio, Lucio Passiano  consoli, Marco Menio Rufo, figlio di Marco sacerdote per la sesta volta, Giulio  Vibidio figlio di Giulio, sacerdote per la seconda volta, a Giove Aeris e agli Dei Indigeti insieme con le nicchie, il basamento e gli edifici e il portico a loro spese fecero». Caio Calvisio e Lucio Passiano furono consoli nell’anno 750 di  Roma, III secolo A.C.  A. Giannetti, Cereate Marianae (Casamari) Tribù Cornelia, Casamari 1968, pag. 8-23.

 8  E. M. Beranger - P. Fortini, op. cit., pag. 13.

 9  Ibidem,  pag. 13.

 10  Ibidem, pag. 13.



Storia della frazione

 

1.                 Le contrade

La frazione di Santa Francesca attualmente è composta da circa 50 piccole contrade sparse su un vasto territorio, collegate  da una via principale provinciale l’Incoronata, che arriva fino al comune di Sora, e da  altre numerose vie laterali.

     Anticamente parte del territorio di Santa Francesca apparteneva ai capitoli delle chiese di Veroli, questo si deduce  dallo studio degli archivi di due delle più importanti chiese come la basilica di Sant’Erasmo e la cattedrale di Sant’Andrea.

     Secondo alcune carte dell’archivio della basilica di sant’Erasmo dal 1042 al 1055, l’abate Girardo I ne allarga i possedimenti  con donazioni ed acquisti, entro e fuori la porta della città.  Sotto il governo di Giovanni I la chiesa dilatò la cerchia dei suoi beni anche verso nord-est dove ricevette in donazione terre presso l’Amaseno, in località detta “Caput Aqua” e i vocaboli 1 di Virano, Atriano, Clarano 2 .

       Il documento più antico è un frammento riguardante la vendita di terra “sementaricia” in territorio di Veroli vocabolo Cese fatta da un tale Eliseus, datato sec. X (anno 901-1000) 3 .

     Altri atti di compravendita che riguardano questa frazione ne troviamo diversi e in epoche successive, uno di questi, datato 1380, riferisce di una riunione in capitolo dei canonici di Sant’Erasmo

       «…asserendo che per sopportare gli oneri della chiesa e specialmente per

        pagare il sussidio dovuto al vescovo, le spese occorse per la costruzione di una

       gualcheria (impianto per la lavorazione di tessuti o pelli) in contrada Masena e   

       quelle occorse per adornare la stessa chiesa, sono costretti a vendere qualche

       parte del patrimonio ecclesiastico, autorizzati dal vescovo, del quale si riporta

       per intero la licenza, vendono all’asta a Leonardo Cocco di Veroli una terra con

       casa e vasca in contrada le Cese per il prezzo di  libbre 37. Fatto nella chiesa e

       nel luogo sopradetto dal notaio Pietro di Bartolomeo Scerippe di Pofi» 4 .

Un documento rinvenuto nel protocollo del defunto notaio Leonardo Dominici, datato 1417 si menziona un tale Rogerio de Rogeriis di Veroli che vende ad Antonio Fasoli una terra coltivata in contrada Le Cese… 5

     Girolamo Melo vende a Francesco Spana canonico di Veroli e ad Andrea, suo fratello, una casa con stalla, con forno contiguo, con orto, con mandrie ed aia in contrada Colle Grosso… anno 1527. 6  

     Il notaio Prospero Martello di Veroli e Giovanna, moglie di Cesare Martello, quale tutrice dei suoi figli, vendono ad Angelo di Antonio Spani di Veroli parte di una selva in contrada Lo Cerreto al prezzo di quattro ducati… anno 1558. 7  

     Il notaio Prospero Martello di Veroli vende ad Angelo Spani parte di una selva in contrada Colle Grosso al prezzo di venti giulii… anno 1559. 8

     Francesco Maria Ghisleri emette una sentenza relativa ad una lite vertente tra il Comune e gli eredi di Angelo Spani per i confini di un terreno in contrada il Cerreto. “Dato a Roma presso il tempio della Pace  anno 1628”. 9

 

Per quanto riguarda la cattedrale di sant’Andrea, l’archivio che ho consultato parte dal  secolo XIII.  

     In questo periodo  al governo c’è il vescovo Oddone, il suo episcopato segna un’epoca felice per quanto riguarda il capitolo della cattedrale, lo testimoniano le numerose donazioni di interi patrimoni e atti di compravendita, tanto da rendere necessaria la stesura di un elenco.

     Sotto i successori Leone (1212-1222) e Giovanni (1223-1249) la cattedrale di Sant’Andrea continuò ad accrescere il patrimonio e cominciarono i primi problemi, infatti nel 1239 fu necessario stilare una convenzione tra vescovo e capitolo: le due parti fissarono i criteri per spartirsi l’uso dei beni stabili, per attribuirsi vassalli ed entrate ecclesiastiche.

    Per quanto concerne il territorio di Santa Francesca, riporto come esempio:

           «Franco di Nello con Marozia e Amato, Franco ed altri cedono

              all’Episcopio di Sant’Andrea, al vescovo Placido e all’arciprete Anastasio

              una terra seminativa con porzione di molino ad acqua posto in contrada

              Masena, alcuni per redenzione della loro anima, altri in cambio di un orto

              in contrada Arnara e di una vigna nella stessa contrada. Anno 1061

              gennaio 8» 10 .

 

     «Urbano II conferma al vescovo di Veroli, Alberto e ai suoi successori il possesso dei beni della cattedrale e la giurisdizione vescovile sulla diocesi, tra cui “ molendinum quod est  in Masena cum pertinentiis suis” anno 1097» 11 .

Di Pasquale II (1050-1118) si ha una bolla «confirmatoria dei beni appartenenti all’episcopio, alla cattedrale di Sant’Andrea di Veroli; “Molendina duo in Masena” Anno 1108 settembre 4» 12 .

 

     Tra il 1500-1600 c’è  da assistere al sorgere di vertenze circa la proprietà di alcune chiese rurali, tra cui quella di santa Francesca, anche se in questa vicenda non furono tanto gli ecclesiastici locali che pretendevano di reggere le chiese, quanto le potenti consorterie feudali del luogo che, accampando diritti di giuspatronato, miravano in realtà ai vasti possedimenti connessi alle chiese medesime. 13  

     Anche molte famiglie nobili di Veroli avevano delle proprietà in questa zona, tanto da dare  i loro nomi a diverse  contrade.

     Soprattutto sono da menzionare la famiglia Franchi de Cavalieri, la quale oltre a un frantoio, nella contrada che viene chiamata Montano di Franchi e la Selva Franchi, aveva un casino di caccia che circa quaranta anni fa   donò alla mensa vescovile, perché vi fosse istituito un asilo per i bambini di Santa Francesca; l’asilo è gestito tuttora con grande professionalità e amore dalle suore del Divin Salvatore. Negli  anni in cui  è stato parroco padre Egidio Loi, lo stesso è stato affidato alla parrocchia di Santa Maria Assunta.

     Altri proprietari che hanno dato il nome alle contrade sono la famiglia Paolini,  Giovardi,  Caccianti,  Giralico ecc…  14 .

     Le contrade prendono il nome anche dalle famiglie del posto, poiché di solito un gruppo di case era abitato dalla stessa famiglia, i cui membri spesso per non dividere la poca terra che avevano, si sposavano tra parenti.

     Abbiamo così le  Case Pagliaroli, Dell’Unto, Pinciveri, Carinci, Verrelli, Cocco, Fiorini, Tamburro, Quattrociocchi  ecc… 15 . 

     Altre contrade dai nomi particolari sono: Scattaruggini, Collegrosso, Tesoro, Carbonara, Paradiso,Vigne Strutte e molte altre. 16

     Ancora oggi, visitando queste contrade, ci si può fare un idea di come trascorrevano le giornate gli abitanti del posto di qualche anno fa, la vita scorreva attorno ad un’aia e non solo. Dal punto di vista religioso  in ogni contrada in genere c’è  ancora una  piccola cona con immagini sacre: nella contrada di Chiarano sono molto devoti alla SS. Trinità, a Case Cocco c’è la cona dedicata a Maria Regina, ne troviamo altre a Collegrosso, Scattaruggini ecc…

     Questo ci fa capire che la popolazione della frazione di Santa Francesca è molto devota, come si può constatare tuttora, la sera nel mese di maggio quando le persone del vicinato si riuniscono attorno a queste immagini, per  recitare   il rosario.    

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 1  “Vocabolo”: unità minima di toponomastica inferiore alla frazione, contrada.

 2  Regesta Chartarum Italiae, Le carte di Sant’Erasmo di Veroli (937-1199), a cura di S. Mottironi, Roma 1958.

 3  Ibidem, pag. 1-123.

 4  C. Scaccia Scarafoni, Inventario dei manoscritti delle Biblioteche d’Italia,Vol 34, Firenze, 1926, pag. 1-123.

 5  Ibidem, pag. 1-123.

 6  Ibidem, pag. 1-123.

 7  Ibidem, pag. 1-123.

 8  Ibidem, pag. 1-123.

 9  Ibidem, pag. 1-123.

 10  C. Scaccia Scarafoni, Le carte dell’archivio capitolare della Cattedrale di Veroli, Roma 1960, pag. 51.

 11  Ibidem, pag. 121.

 12 Ibidem, pag. 121.

 13  C. Scaccia Scarafoni, Regesti delle carte dell’archivio capitolare della Cattedrale di Veroli (sec. XIII),  pag. 16-18.

 14  Repertorio di Contrade Rurali di  Veroli nel XIX sec. Fotocopia conservata nella Biblioteca Giovardiana di Veroli.

 15  Ibidem.

 16  Ibidem.